PER IL QUINTO ANNIVERSARIO DELLA DIPARTITA DI GIUSEPPE
di Nicola Marcello Monterosso
Stasera vi parlerò dell'esperienza lavorativa di Giuseppe Francese, del suo stile di vita amministrativo, ricordando al contempo il suo grande amore e il suo grande impegno per il padre Mario.
Dopo aver conseguito il diploma di Ragioneria presso l'Istituto Tecnico Commerciale "Duca degli Abruzzi" di Palermo ed avere adempiuto agli obblighi di leva in polizia, scelta determinata da motivi ideali, nel 1986 iniziò la sua vita amministrativa di dipendente regionale presso l'Assessorato Enti Locali, utilizzando la possibilità offerta dalla normativa per i familiari delle vittime di mafia.
Il suo percorso di dipendente regionale cominciò all'Ufficio del Personale con la qualifica di archivista che mantenne sino al 1993, anno in cui avvenne il passaggio di qualifica ad assistente, a seguito dell'approvazione della legge regionale che consentiva ai familiari delle vittime di mafia di essere collocati nel ruolo corrispondente al titolo di studio. Quello fu il periodo più sereno della sua vita amministrativa, a contatto con un dirigente, il dott. Pietro Messineo, il suo primo dirigente, anch'egli recentemente scomparso in analoghe tragiche circostanze, che fino a poco tempo fa nei nostri incontri occasionali lo ricordava per la sua condotta ineccepibile, quale individuo integerrimo, ossequioso della legalità e perseverante nel lavoro oltre che animato da un profondo senso di giustizia.
Giuseppe non dimenticò mai il dott. Messineo e lo ricordò sempre con nostalgia, così come ebbe modo di apprezzare il dott. Dionisio che lo chiamò ad operare al gruppo CEE, un ufficio che doveva essere il fiore all'occhiello dell'Assessorato ma che, con grande frustrazione del giovane, per motivi rimasti misteriosi non decollò mai. Anche quel dirigente ricercava infatti nei funzionari, delle persone sulle quali potere contare per impegno, trasparenza e professionalità, doti senz'altro diverse da quelle di "soldato politico" e di "curatolo", tanto estranee al firmamento d'idee di Giuseppe Francese.
Dopo essersi tanto impegnato e aver cominciato a curare una serie di rapporti, dopo aver frequentato un corso di formazione organizzato dalla stessa Amministrazione, venne sostituito e trasferito al gruppo di lavoro che si occupava degli istituti Privati di Assistenza e Beneficenza. In questo ufficio gli assistenti, oltre ad avere l'incarico di commissari di IPAB, avevano la funzione di verificare ed esaminare le delibere degli stessi istituti: Giuseppe rifiutò sempre gli incarichi di commissario perché riteneva che la doppia funzione non garantisse sufficientemente la trasparenza dell'azione amministrativa. Qui l'esperienza di lavoro fu molto tormentata. Le sue segnalazioni, i suoi rilievi venivano spesso boicottati. Ho ancora ben presente la voce di Francese proferire queste parole: «Mi hanno detto più volte "Non sollevi problemi". Mi hanno detto pure con fare candido perché devi rompere per forza i coglioni?». E ancora: «Ho ricevuto le attenzioni di un utente dall'accento catanese di cui non conosco neanche il nome, che rimanendo in silenzio e dopo un insistente e insolito fissarmi negli occhi mi ha chiesto «E' lei Giuseppe Francese? Si sono io, ma lei chi è? Cosa desidera? Io? Niente. Volevo solo conoscerla fisicamente».
Continua la sua esistenza nomade da un gruppo di lavoro all'altro.
Nel 2001 viene trasferito al servizio che si occupava di interventi per l'area minorile e come al solito si mette al lavoro alacremente: in particolare si dedica all'esame dei progetti di cui alla legge 285/97, relativi alla promozione dei diritti e alla socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza e, contestualmente, si occupa dell'indagine sul lavoro minorile in Sicilia, dei minori immigrati e del fenomeno della pedofilia.
Comincia un'attenzione costante per le cronache riguardanti gli abusi ed i maltrattamenti sui minori. Non c'è colonna di giornale che riporti cronache relative allo sfruttamento del lavoro minorile che possa sfuggire alla sua attenzione. Ma anche stavolta le sue iniziative sono frustrate, anche stavolta ogni proposta, ogni progetto, ogni idealità vengono spezzate sul nascere. Si. Perché gli tolgono anche questo incarico e glielo tolgono nel modo più efficace e diplomatico, facendo rientrare un atto mirato nella "pura contingenza" di una ristrutturazione generale.
«Non riesco la notte nei pub a non guardare gli occhi profondi dei bambini di colore che cercano di vendere rose a chi con violenza li caccia. Ed io che mi occupo anche di minori immigrati, so di non potere fare un cazzo per loro, anzi per dirla tutta, da pochissimo mi hanno tolto il controllo sui minori immigrati e l'indagine del lavoro minorile in Sicilia. Tanto non avrei potuto fare un cazzo lo stesso perché non mi avrebbero fatto lavorare come avrei voluto. Perché lo sfruttamento dei minori fa comodo a tanti».
Siamo a dicembre del 2001: Giuseppe Francese scrive una lettera al Dirigente Generale e all'Assessore regionale di allora, una lettera che non vedrà mai la luce e che rimane sotto forma di minuta. L'originale fu consegnato da mani amiche, dopo la dipartita di Giuseppe, al nuovo Dirigente generale. Ne ho conservato copia fotostatica il cui contenuto ritengo opportuno leggervi.
«In Sicilia, come in altre realtà italiane e del mondo, i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza vengono spesso trascurati ed, in molti casi, addirittura negati.
Spesso, ma non è mai abbastanza, vengono scoperti casi di abusi e maltrattamenti sui minori.
Sporadicamente si scoprono situazioni di sfruttamento di lavoro minorile che celerebbe una realtà molto più ampia e quasi inesplorata.
L'avvento di nuove tecnologie come Internet è diventato sempre più veicolo per abusi su minori ed adolescenti.
Tutto ciò premesso, sembrerebbe che questo Assessorato, intenda procedere in senso quasi inverso alle tendenze e alle leggi nazionali che vorrebbero maggiori attenzioni nei confronti del "pianeta infanzia".
Infatti, i funzionari facenti parte del gruppo XII/Interventi area minorile, che pur avevano lavorato con il massimo impegno per cercare di trovare soluzioni per creare situazioni di minore disagio per minori e adolescenti in Sicilia, apprendono oggi che il gruppo XII è stato praticamente smantellato, dando alla sola dottoressa Genduso tutte quelle competenze che svolgevano ben quattro funzionari, coadiuvati da due dattilografi.
Ciò premesso, si chiede alla S.V. di valutare la possibilità di rivedere quanto stabilito per le sorti del gruppo, ma vorremmo dire ancor di più per le sorti dei minori in Sicilia.
Non crediamo di essere paladini di giustizia o di avere bacchette magiche per garantire una migliore condizione dei minori e degli adolescenti, sappiamo soltanto che abbiamo dato, e se ce lo consentirete, continueremo a dare tutto il nostro contributo ed il massimo impegno.
Vogliamo solo ricordare che questo gruppo ha proposto:
• un indagine al CIRM sulla pedofilia in Sicilia;
• un contributo al Telefono Arcobaleno e al Telefono Azzurro.
Si occupa di Adozioni internazionali.
Sta creando un database sul lavoro minorile in Sicilia (a tal proposito si allega articolo di stampa, pubblicato sul Giornale di Sicilia in data 5.12.2001), promuovendo in tal senso la collaborazione con Prefetture, Ispettorato del Lavoro e INAIL, ecc..
Un data base sui minori immigrati.
Per non dimenticare i Piani Territoriali d'intervento di cui alla Legge 285/97 per il triennio 2000/2002 che prevede uno stanziamento di 77miliardi circa.
Per amore di verità, dobbiamo dire che troviamo alquanto strana la decisione appena presa ma crediamo che si sia trattato semplicemente di una decisione dettata più da una esigenza temporanea, che ha costretto le SS.VV. a dover procedere in termini brevissimi al riassetto dei gruppi di lavoro.
I funzionari del Gruppo XII/ Interventi area minorile, chiedono semplicemente alla S.V. di poter continuare a lavorare ed impegnarsi, oggi come ieri, per un lavoro a cui crediamo, che amiamo e che sosteniamo e sosterremo sempre. Distinti saluti »
Gli anni della vita amministrativa di Giuseppe furono sempre contraddistinti da una condotta etica e professionale irreprensibile, improntata al rispetto e alla cultura della legalità, alla assoluta trasparenza dell'azione amministrativa, all'agire equo e solidale dentro un contesto in cui avere idee non conformi ai dettami della "famiglia politica" di turno è sinonimo di devianza. Un contesto in cui non di rado il confine tra il "pessimo" ed il "buono" impiegato è tracciato dall'adesione o meno ad un concetto di fedeltà all'insieme che si traduce in compiacenze, che si nutre di timori, che si avvale o che soggiace alle clientele, che fa propria l'apatia, che licenzia la riflessione, l'esercizio critico della ragione e che sposa un "pensiero unico" destinato a dissolvere ogni principio di eguaglianza, di giustizia e di libertà, di cui invece Giuseppe era latore, veicolando così una "qualità totale" senz'anima, dove il fine giustifica i mezzi. Logorio per chi non si adegua, privilegi e opportunità a chi obbedisce...
Allora noi amici e colleghi di Giuseppe scrivemmo che se il "refrattario" è un funzionario come colui che ci ha lasciati, per un contesto cinico e sottomesso si è di fronte a un vero e proprio "attentato di lesa maestà" e alla grave infrazione di un miserabile e meschino "spirito di corpo". Scrivemmo pure e lo gridammo a squarcia gola che Giuseppe, così come nella sfera sociale, avversava nel lavoro l'arroganza e la deferenza, le discriminazioni e le parrocchie politiche e, insieme a queste, le prescrizioni quotidiane di un esercizio del potere sempre più antisociale e disumano che raramente risponde ai bisogni della comunità e che confonde la soddisfazione dei bisogni collettivi col perseguimento di obiettivi destinati ad estorcere il consenso. Aggiungemmo pure che la coscienza non è sempre cosa flessibile o negoziabile e che Giuseppe aveva certamente pagato un certo fio per non avere mai ceduto alle lusinghe del potere.
Il suo impegno professionale, i progetti che da questo impegno scaturivano, le sue tensioni, furono sempre frustrati dalla sfera istituzionale da lui frequentata.
Era un individuo molto sensibile ma capace di tenere saldi i suoi principi. Non vacillò mai davanti a compromessi o ad accattivanti vie di fuga dalle proprie responsabilità.
Dava al suo lavoro un carattere unitario che superava ogni rigida divisione in livelli e qualifiche. Seguiva l'atto amministrativo con attenzione ed interesse, non tollerava eccezioni, ed era sempre proteso verso il raggiungimento di obiettivi sociali.
Giuseppe, funzionario integerrimo, lavoratore solerte, creativo e al contempo scrittore brillante e versatile aveva il giornalismo nel sangue e lo dimostrò pubblicando negli anni una serie di articoli che non si occuparono soltanto della vicenda del padre ma che affrontarono altri casi relativi a delitti di mafia. Ma non c'è dubbio che Giuseppe dedicò tutte le sue energie e gran parte del suo tempo a ripercorrere la pista che lo avrebbe portato diritto agli assassini del padre. Quando il processo si è celebrato seguì tutte le udienze sino alla chiusura del dibattimento e alla formulazione della sentenza che assicurò alla giustizia i colpevoli dell'infame delitto che come voi tutti sapete avvenne il 26 gennaio del 1979.
Così dice di lui il giornalista Attilio Bolzoni in un articolo di Repubblica del 4 settembre 2002, all'indomani del tragico evento (del quale riporto solo alcuni stralci):
« A volte arrivava di mattino presto, quando il Tribunale era deserto e le stanze dei giovani sostituti procuratori erano ancora vuote. Lui si sedeva sulla panca di legno sotto la finestra anche per un'ora, fissava il muro, aspettava il magistrato che dopo vent'anni aveva riaperto il "caso": l'inchiesta sull'uccisione di suo padre. Lo salutava, tirava fuori qualche carta dalla sua borsa, raccontava, suggeriva, chiedeva. Voleva sempre far sapere qualcosa. Così da quando era ragazzino. Così da quando gli avevano ammazzato il papà giornalista sotto casa in una sera d'inverno [...].
Era ancora un bambino Giuseppe quella sera, aveva 12 anni. Era un bambino che cominciò presto a conoscere quella Sicilia feroce che aveva sconvolto lui e che avrebbe sconvolto poi tanti ragazzi come lui [...].
Cominciò a raccogliere tutti i suoi appunti e poi tutti i suoi articoli, cominciò a leggere e a rileggere tutte le sue inchieste, cominciò a "capire" chi e perché aveva voluto suo padre morto. Tutta la vita a ricostruire la morte di papà, tutta la vita a inseguire un incubo. Fino alla fine [...].
E' un altro "omicidio" di quei macellai di Corleone quello di Giuseppe, trentasei anni impiegato regionale agli Enti Locali»
Papà «Ricordo bene le tue mani bellissime e i tuoi occhi scuri pieni di bontà», così cominciava a scrivere Giuseppe nel suo "Ricordo" che troverete nel libro che questa sera viene presentato.
Eppure come ho accennato l'impegno di Giuseppe non si esaurì nel ripercorrere la vicenda del padre.
L'8 ottobre 2002, esultando, apprendemmo dalle colonne del Giornale di Sicilia che:
«Il Consiglio dell'ordine dei giornalisti di Sicilia, riunito a Catania, ha deliberato l'iscrizione alla memoria nell'elenco dei pubblicisti, di Giuseppe Francese, figlio del cronista del Giornale di Sicilia Mario, ucciso dalla mafia il 26 gennaio del 1979. Giuseppe Francese è recentemente scomparso e il Consiglio ha preso atto della sua produzione pubblicistica che denota capacità di svolgere indagini con un taglio tipicamente giornalistico. Grazie a Giuseppe Francese fu riaperto il caso dell'omicidio del vicepretore onorario di Corleone Ugo Triolo, avvenuto nel 1978, e fu intitolata una piazza da parte del Comune di Termini Imerese al giornalista Cosimo Cristina, morto in circostanze misteriose 40 anni fa. Anche le indagini personali svolte da Giuseppe Francese sull'omicidio del padre convinsero la Procura di Palermo a riaprire il caso. Il processo che ne è derivato si è recentemente concluso con le condanne di quasi tutti gli imputati, boss mafiosi della Commissione».
Io e Antonella tappezzammo letteralmente le pareti dell'assessorato col ritaglio di questa notizia che suscitò la letizia accompagnata dal rimpianto di chi gli era stato amico, provocando, invece, lo sgomento di quanti avevano sperato di avvolgerlo nell'oblio.
Il 3 ottobre 2002 ricorreva il trigesimo di Giuseppe. Con Antonella, già all'indomani della scomparsa del nostro amico, avevamo deciso di preparare qualcosa per quel giorno, qualcosa che spezzasse il silenzio e l'indifferenza generale. Volevamo gridare al mondo intero chi era Giuseppe Francese. Cominciammo così a vederci ogni giorno, anche fuori, per strada, a volte in compagnia di Hegel il cane di Antonella e mentre iniziavamo a lavorare su un volantino poi distribuito davanti ai cancelli dell'Assessorato, ci informavamo sugli ultimi contatti di Giuseppe, sugli ultimi suoi interessi, riprendendo quegli scritti che già conoscevamo e ricercando quelli che eventualmente ancora non conoscevamo.
Era una esigenza rafforzata dal dolore per la perdita di un amico e galvanizzata altresì dal bisogno estremo di affrancarci da una dimensione aziendale che in quei giorni era fatta di silenzi, di distacco, di inspiegabili e immotivate reticenze, forse perchè io e Antonella essendo stati vicino a Giuseppe potevamo compromettere la quiete personale di chi ci stava attorno richiedendo una qualche semplice opinione, raccogliendo una "normale" e "disimpegnata" informazione o intrattenendo una semplice conversazione. A volte il silenzio si spezzava improvvisamente ad opera di chi intendeva acquisire indiscrezioni su una persona che aveva vissuto in quel posto di lavoro e di cui si conoscevano bene le vicissitudini e le vessazioni amministrative: un modo come un altro per parlarne poi in sordina, animare il tam tam della disinformazione o riferire a qualcuno.
Dedicammo così a Giuseppe un dattiloscritto dal titolo "Nel Trigesimo di Giuseppe, ricordando un combattente antimafia" in cui ci rivolgevamo direttamente a lui, sottolineandone le virtù e le idealità e facendo un ritratto sferzante e realistico delle perverse logiche amministrative che avevano incrociato la sua esistenza e che aveva subito.
Riuscimmo parzialmente nell'obiettivo, in quanto ciò fu prevalentemente motivo di scandalo ma riuscì pure a riscaldare gli animi, a promuovere un qualche dibattito, quantomeno dei capannelli, oltre a suscitare il fastidio di non pochi.
Poi, cominciò di nuovo il vuoto e ad un tratto mi sentì solo ed avvertì una strana sensazione, come se io fossi un marziano o meglio un clandestino in un ambiente, quello dell'istituzione, avverso e ostile. Di notte non dormivo, riflettevo, elaboravo, mille pensieri mi attraversavano la mente e accanto al mio computer scrivendo di Giuseppe ripercorrevo qualcuno dei suoi scritti. Man mano che saggiavo il suo impegno giornalistico, le sue indagini che avevano il sapore dell'inchiesta, mi assalivano dei dubbi atroci. Intanto, Antonella stava male, era sempre più in preda allo sconforto.
Una sera squillò il telefono: «Pronto, è lei il signor Monterosso? Sono Cernigliaro della Sicurezza, vorrei parlare con lei di Giuseppe Francese» - «Va bene, dove ci vediamo? Fuori?» - «No. ci vediamo in Assessorato» - «Va bene mi raggiunga nella mia stanza». Il cuore mi si infiammò, ero contento di aver richiamato l'attenzione di qualcuno e per un attimo credetti pure che fosse arrivata la polizia.
Era Totò Cernigliaro che lavorava all'Osservatorio sulla Criminalità Organizzata. Totò ebbe la pazienza di ascoltarmi perché io lo travolsi con fiumi di parole e dopo essere riuscito, almeno in parte, a razionalizzare la mia spinta emotiva, convenimmo di continuare a vederci. Ci fu un attimo di suspense, perché per vincere qualsiasi diffidenza volli assicurarmi che lavorava proprio lì, in Assessorato. Così gli proposi di accompagnarlo nel suo ufficio. Quando varcai la soglia di quell'indimenticabile 14° piano mi accorsi che le luci erano spente e per brevi attimi fummo avvolti entrambi dal buio. Poi quella luce si accese e con Totò si accese la speranza che Giuseppe non cadesse nell'oblio.
Fu Totò, a concepire quella prima pubblicazione de "Il giornalista e l'impiegato" che insieme ad Antonella Marino dedicammo nel febbraio del 2003 a Giuseppe Francese. Un omaggio che Giuseppe meritava. Quel testo raccoglieva appunto tutti gli articoli scritti da Giuseppe e pubblicati su Antimafia Duemila e sull'Inchiesta e la testimonianza diretta mia e di Antonella che raccontavamo l'impegno, le idee e le passioni di Giuseppe. I contenuti di quel lavoro, assieme ad alcuni racconti di Giuseppe sono stasera riproposti da Totò nel suo nuovo libro che tutti voi avrete la possibilità di leggere.
Nel frattempo, Antonella, grazie alla sua forza di volontà e alla sua rinnovata intraprendenza, aveva raccolto le firme per l'istituzione di un Centro di documentazione sull'infanzia e l'adolescenza che avrebbe dovuto portare il nome di Giuseppe Francese e che avrebbe dovuto avere sede proprio in quella che era stata l'ultima sua stanza.
Ebbene, sulla porta fu posta una targa dorata che riportava quella dizione. L'Assessore degli enti locali prese anche sulla stampa dei precisi impegni con la famiglia Francese.
Questi impegni non furono mai mantenuti. A due anni dalla sua scomparsa io, Antonella e Totò scrivemmo una lettera "a Giuseppe", pubblicata su La Repubblica di Palermo, dove ribadivamo che l'impegno non era stato mantenuto, «se si esclude per la targa collocata in prossimità della tua stanza e successivamente coperta con un sacchetto di plastica. Un modo esteticamente discutibile, ma assai efficace e soprattutto economico, per nascondere l'inesistente "Centro Giuseppe Francese" e gli impegni che ne discendevano per l'Amministrazione».
In ultimo, la targa fu definitivamente tolta in quel IV piano che vide Giuseppe prestare il suo impegno di funzionario e di cittadino esemplare. E' stato quindi cancellato un impegno pubblicamente assunto.
Voglio ricordare che l'incontro con Totò Cernigliaro rappresentò per me ed Antonella un occasione per estendere il nostro impegno sul versante della cultura antimafiosa e su quelle iniziative legislative che promosse da Totò ci videro impegnati con tenacia insieme ad uno sparuto drappello di colleghi di altri Assessorati. Questo impegno fu da noi vissuto intensamente, quasi fosse un testimone lasciato da Giuseppe. Quel 14° piano era infatti diventato il centro propulsore di mille iniziative.
Il 7 novembre 2002, a due mesi dalla scomparsa del collega, raccogliemmo le firme insieme a Massimo Francese, Giovanni Abbagnato, Anna Cappiello, Emanuele Catalano, Agostino Marrella, Luigi Pintus, Annibale Raineri, Giuseppe Tutone, Felicia Guastella e Vincenza Verro per l'approvazione di una norma che consentisse ai familiari di Giovanni Bonsignore e di Filippo Basile il riconoscimento degli stessi benefici dei familiari delle vittime innocenti della mafia, quale atto tangibile di solidarietà nei loro confronti.
GRAZIE GIUSEPPE PER AVERCI INSEGNATO TANTE COSE!
Villa Cattolica, Bagheria, 3 Settembre 2007Anniversario della dipartita di GIUSEPPE